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Il calcio è uno dei fenomeni più importanti della nostra società, esso è parte integrante della vita quotidiana di milioni di persone sia che lo pratichino, a livello professionistico o dilettantistico, sia che partecipino semplicemente come pubblico, spettatore o tifoso. Il calcio riproduce situazioni in grado di rappresentare la nostra società e, attraverso ciò, crea aspettative, fidelizzazione, consenso, esempi, e può sicuramente condizionarla ma anche modificarla cercando di migliorarla.

Come fenomeno economico, si presenta come un mercato in continua evoluzione nel quale l’offerta e la domanda hanno assolutamente bisogno di integrarsi e perché ciò avvenga è necessario che riesca a creare il giusto divertimento e spettacolo. Il calcio fa bene all’economia. Quasi tutte le imprese guardano al calcio, e ai suoi “atleti” come fenomeno da utilizzare in chiave economica per le potenzialità commerciali e pubblicitarie che mostra riguardo alla stragrande maggioranza del pubblico che lo segue o che lo pratica, divenendone partner o semplicemente sponsor.

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Le aziende, gli spettatori, i tifosi, i praticanti, gli sponsor eccetera, determinano un giro d’affari tale da poter collocare il “mondo del calcio” tra le prime “industrie” del nostro Paese. Oggi, questa industria è malata, quasi tutte le società di calcio sono in sofferenza e stentano a far quadrare i conti.

Di chi la colpa e cosa si può fare? Sono le domande alle quali si cerca di dare una risposta. A chiunque le si pongano il “refrain” è: pagassero meno i giocatori. Questo è sicuramente un aspetto, forse, anche il più importante ma non mancano risposte tipo: investissero di più nei settori giovanili e così evitano di andare a comprare e pagare i giocatori milioni di euro, o anche, sfruttassero meglio il prodotto che propongono cercando nuovi mercati e nuove soluzioni. Tutte considerazioni intelligenti e pertinenti. Il mercato cinese, per esempio, è stato per lungo tempo il più appetito poiché ha un valore stimato di circa 740miliardi di dollari, più della Premier, della Bundesliga, della Liga e della serie A messe insieme. I cinesi che guardano le partite di calcio, almeno una volta alla settimana, sono circa 250milioni e tutti i maggiori club europei hanno un numero di tifosi maggiore in Cina che nel loro Paese. Si pensi che in Cina vengono stimati circa 100milioni di tifosi del Milan e altrettanti dell’Inter. Numeri pazzeschi che spiegano perché in questi anni i club cinesi hanno comprato di tutto, pagando a peso d’oro calciatori e tecnici.

Anche qui i tempi d’oro sono finiti. Il Comitato del Partito Comunista Cinese ha dato disposizioni perché non si facciano più spese folli, imponendo dei limiti per gli acquisti che comunque sconsigliano e per gli stipendi ai calciatori che non devono superare cifre molto più contenuta rispetto a prima. La crisi riguarda anche loro e, di conseguenza, tutte le società controllate o che facevano affari con investitori cinesi. La pioggia di milioni caduti sul calcio, e che ancora continuano a cadere, non sono bastati a frenare l’emorragia che ne sta determinando la crisi più importante che si ricordi. Senza dubbio la spesa più consistente riguarda il personale tecnico, inteso come allenatore e la sua equipe, e i giocatori, questi ultimi incidono per circa il 60/70% delle spese totali della società, tra stipendi e premi per il raggiungimento di obiettivi personali e di squadra.

É facile immaginare che la gestione di una società di calcio non sia semplice e che sbagliare i rapporti tra entrate e uscite non sia cosa difficilissima essendoci una serie di variabili incontrollabili dovute ai risultati, allo spettacolo offerto, alle situazioni determinate da fatti tipo quelli dell’ultimo anno. Lockdown, restrizioni, limitazioni, accorgimenti a difesa della salute degli atleti e del pubblico, se da una parte hanno colpito il calcio in maniera importante privandolo di fonti di guadagno essenziali per i bilanci delle società, dall’altra hanno contribuito ad evidenziare le inefficienze già note in passato. Il calcio ha vissuto, quasi sempre, al di sopra delle proprie possibilità, portando alla rovina presidenti non accorti o vittime di gente inaffidabile mescolatasi bene in un mondo variegato. Ma prim’ancora che di questi aspetti o personaggi, vittime di se stessi e della loro passione che li ha fatti rincorrere sogni di vittoria “acquistando” protagonisti che a quelle vittorie non li avrebbero mai portati ma costati tantissimo.

Oggi non c’è un euro, questa è la realtà, società importanti, se non godessero di tutti i privilegi concessigli, avrebbero già da tempo dovuto portare i libri contabili in tribunale. Parliamo di società che hanno chiuso il bilancio con più di cento milioni di euro di perdite e senza possibilità, nell’immediato, di ricapitalizzazione. Non dimentichiamo, però, che il calcio è passione, tifo, innamoramento che fa perdere, talvolta, la razionalità e porta ad eccedere e disattendere le regole di buone maniere civili ed economiche.

Nonostante questo aspetto sentimentale, probabilmente le società mancano di figure manageriali all’altezza e di conseguenza non riescono a crescere come e quanto dovrebbero, non si spiegherebbe, altrimenti, come in un momento come questo, quasi con fare masochistico, abbiano fatto si che aumentassero i compensi dei giocatori, non solo di quelli bravi ma, con un effetto traino, anche quelli dei loro colleghi meno bravi e rappresentativi. Sempre più spesso si ricorre a scambi di giocatori con valutazioni fittizie per creare plusvalenze inesistenti, un “escamotage” al quale ricorrono quasi tutte le società e per questo nessuno denuncia.

Un’ancora di salvezza può essere il ricorso a capitali stranieri. In questi ultimi anni abbiamo assistito all’acquisizione di società importanti del nostro panorama calcistico da parte di fondi economici o investitori provenienti da altri Paesi. Inter, Milan, Fiorentina, Roma ed altre hanno abbracciato questa nuova realtà. Non giova ma vale la pena ricordare che anche all’estero, in altri campionati “importanti”, la situazione è simile alla nostra. Un ruolo importante, sempre alla ricerca di una soluzione, potrebbe essere giocato dagli investimenti sulle strutture, creando nuovi stadi e zone limitrofe più accoglienti e confortevoli, concependo questi spazi usufruibili per tutto l’anno e non solo per il tempo di una partita di calcio. Non è per caso che alcune importanti società estere si siano già mosse in questa direzione raccogliendo notevoli soddisfazioni economiche.

Valutando quanto successo in paesi come Inghilterra e Germania, osservatori specializzati dicono che il rinnovamento degli stadi italiani potrebbe generare un aumento degli spettatori di circa il 40% e che condizioni confortevoli e sicure giustificherebbero un aumento medio dei biglietti di almeno il 20%. Ambienti di questo genere favorirebbero, anche, l’aumento di iniziative commerciali e di marketing dando vita ad un diverso e più prossimo contatto tra tifosi e giocatori, i loro idoli, con risultati economici interessanti.

Queste riflessioni e questi dati ci dicono che il “sistema calcio” in Italia ha bisogno di essere ripensato in maniera futuristica e organizzato perché possa mantenere ed incrementare l’economia e l’occupazione generate fino ad ora. Tutto questo non può prescindere dal coinvolgimento e sviluppo dei settori giovanili, favorendo la pratica di questo sport per tutti i ragazzini e ragazzine che lo vogliano. Gli esempi del passato sono tantissimi, quasi tutte le società curavano un loro settore giovanile al quale attingevano man mano che se ne presentasse la necessità, sicuri di trovare giovani preparati e pronti per l’attività agonistica professionistica.

Purtroppo la visione di un business sbagliato e la possibilità di accedere, quasi, liberamente ad un mercato straniero a costo zero o quasi, ha determinato l’azzeramento di queste “accademie” del calcio, un fiore all’occhiello che le società estere ci hanno invidiato, copiato e fatto loro traendone frutti tecnici ed economici importanti. Il mondo del calcio giovanile è un mondo affascinante e interessante da conoscere e seguire con l’attenzione che merita, certi di ricevere in cambio la giusta dose di divertimento sportivo che ogni spettatore si aspetta da queste manifestazioni. Il centro studi CIES, con sede in Svizzera, specializzato nella valutazione dei settori giovanili più “produttivi” al mondo, ha stilato una classifica delle maggiori società che investono nei settori giovanili.

I parametri sono semplici ma essenziali: tengono conto dei ragazzi cresciuti nel vivaio della società per almeno tre stagioni, con un’età tra i 15 e i 21 anni e che giocano nei cinque più importanti campionati europei: Italiano – Francese – Spagnolo – Tedesco – Inglese. Ai primi tre posti ci sono due squadre spagnole, Real Madrid e Barcellona, mentre al terzo posto una inglese, Manchester United; la prima italiana in classifica è la Roma, al settimo posto. Tutti spingono per un maggiore impiego dei giovani, specie se cresciuti nei vivai delle varie società, sperando che questo contribuisca a calmierare un mercato fuori controllo che tanti danni ha già fatto. Le iniziative e i progetti non mancano ma gli effetti concreti tardano ad arrivare. I tentativi spingono tutti in un’unica direzione: obbligare attraverso regolamenti le società ad inserire in rosa il maggior numero di giovani possibile remunerando in maniera significativa quelle che oltre ai numeri di presenze stabilite impiegano per la maggior parte ragazzi cresciuti nei loro vivai.

Un’altra strada potrebbe essere quella di incentivare ancor di più le squadre dei campionati minori perché utilizzino, oltre ai giovani locali, anche quelli provenienti dai vivai delle società professionistiche agendo, però, su tutte le leve necessarie per far capire bene, soprattutto ai genitori, che non tutti diventeranno professionisti.

di Antonio Caivano

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