Advertisement

Un’ecatombe drammatica, senza precedenti, che, a distanza di un anno, rende il futuro del settore ancora imperscrutabile. L’effetto combinato del Covid e del crollo dei consumi del 10,8% (pari a una perdita di circa 120 miliardi di euro rispetto al 2019) porta a stimare per il 2020 la chiusura definitiva di oltre 390mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi di mercato, fenomeno non compensato dalle 85mila nuove aperture. Pertanto, la riduzione del tessuto produttivo nei settori considerati ammonterebbe a quasi 305mila imprese (-11,3%). Di queste, 240mila, esclusivamente a causa della pandemia. In altre parole, l’emergenza sanitaria – con tutte le conseguenze che ne sono derivate, restrizioni e chiusure obbligatorie incluse – ha acuito drasticamente il tasso di mortalità delle imprese che, rispetto al 2019, risulta quasi raddoppiato per quelle del commercio (dal 6,6% all’11,1%) e addirittura più che triplicato per i servizi di mercato (dal 5,7% al 17,3%). Questa la stima dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla nati-mortalità nel 2020 delle imprese del commercio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi.



Advertisement

Numeri che pesano come un macigno sopratutto sull’economia locale, quel tessuto fatto di virtuose PMI cuore pulsante dell’Italia. “Sostenere il prodotto locale vuol dire non affossare la ricchezza di un territorio, vuol dire dare speranza agli imprenditori e lanciare anche un messaggio di chiarezza verso chi decide, nonostante le condizioni non favorevoli, di puntare sulla creazione di impresa: noi cittadini siamo parte della provincia e siamo consapevoli che i nostri consumi sono importanti per il benessere non solo del tessuto imprenditoriale, ma dell’intero sistema provincia”. Lo afferma Damiano Gelsomino, Presidente di Confcommercio Foggia e componente del Consiglio nazionale di Confcommercio (nonché Presidente della Camera di Commercio di Foggia) che, durante il periodo natalizio e per incentivare l’acquisto nei negozi di città ha costruito una campagna comunicazione dal titolo: “Regalati un Natale sotto casa. In sicurezza”.


Una situazione plasticamente rappresentata dal report annuale di Confcommercio: delle 240mila imprese “sparite” dal mercato a causa della pandemia 225mila si perdono per un eccesso di mortalità e 15mila per un deficit di natalità. Una riduzione del tessuto produttivo che risulta particolarmente accentuata tra i servizi di mercato, che si riducono del 13,8% rispetto al 2019, mentre nel commercio rimane più contenuta, ma comunque elevata, e pari all’8,3%. Tra i settori più colpiti, nell’ambito del commercio, abbigliamento e calzature (-17,1%), ambulanti (-11,8%) e distributori di carburante (-10,1%); nei servizi di mercato le maggiori perdite di imprese si registrano, invece, per agenzie di viaggio (-21,7%), bar e ristoranti (-14,4%) e trasporti (-14,2%). C’è poi tutta la filiera del tempo libero che, tra attività artistiche, sportive e di intrattenimento, fa registrare complessivamente un vero e proprio crollo con la sparizione di un’impresa su tre.

Alla perdita di imprese, si legge ancora del documento dell’Ufficio Studi Confcommercio, va poi aggiunta anche quella relativa ai lavoratori autonomi, ovvero quei soggetti titolari di partita Iva operanti senza alcun tipo di organizzazione societaria. Si stima la chiusura per circa 200mila professionisti tra ordinistici e non ordinistici, operanti nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, amministrazione e servizi, attività artistiche, di intrattenimento e divertimento e altro.

L’ambito più colpito è certamente quello della ristorazione, che ha visto il 2020 chiudere nel peggiore dei modi: 37,7 miliardi di euro di perdite, circa il 40% dell’intero fatturato annuo del settore andato in fumo. Storicamente, nel periodo delle festività dicembrine per una parte rilevante dei locali si arriva a generare fino al 20% del fatturato annuo: nel quarto trimestre 2020, invece, le perdite registrate hanno superato i 14 miliardi di euro, con un meno 57,1% dei ricavi, peggio ancora di quello che era successo nel II trimestre, quello del primo lockdown. Questa fine anno ha di fatto vanificato gli sforzi estivi che pure avevano portato ad un contenimento delle perdite in alcune aree turistiche del Paese, fanno sapere da Fipe-Confcommercio. Le grandi città, ed in particolare le città d’arte, dove ha pesato di più l’assenza del turismo internazionale, non hanno invece beneficiato nemmeno della tregua estiva, registrando perdite complessivamente superiori all’80%.

“Non è più accettabile che i pubblici esercizi, insieme a pochi altri settori, siano i soli a farsi carico dell’azione di contrasto alla pandemia, richiesti di un sacrificio sociale non giustificato dai dati e non accompagnato da adeguate e proporzionate misure compensative – dichiara Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio – . È indubbio che per uscire da questa crisi ci sia bisogno del contributo di tutti, ma proprio per questo non si può imputare sulle spalle sempre delle stesse categorie il peso del contenimento della pandemia, affossando nel frattempo un settore strategico per l’economia del Paese e per la vita quotidiana delle persone”.

Matteo Palumbo



Advertisement