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Nel film “L’attimo fuggente” il professor John Keating, Robin Williams, saliva sulla cattedra per incitare a vedere il mondo da angolazioni diverse e spingeva audacemente i ragazzi a scoprire la bellezza della vita: era una voce fuori dal coro e veniva cacciato dalla sua scuola. In un paese in provincia di Foggia, invece, un giovane docente che s’inventa “L’ora della felicità” incontra il consenso dei suoi colleghi ed insieme danno vita alla “scuola della felicità”.

Accade a Troia, dove l’istituto comprensivo Virgilio Salandra ha dato vita ad un originale progetto, ideato dal professor Mariano Laudisi. “Ci teniamo tutti ad essere accettati, ma dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri, anche se ad altri sembrano strani e impopolari, anche se il gregge dice: Non è beeee. “, diceva il professor Keating spronando i ragazzi a rendere le loro vite straordinarie. Oggi più che mai, in tempi di pandemia, si potrebbe vivere la scuola in modo diverso. Ce lo insegna la preziosa esperienza di un piccolo paese pugliese, dove le utopie diventano progetti, poi si fanno realtà, a cui ci si può aggrappare per trovare un senso. La strada non è mai scontata, la felicità è un attimo, ma è fare il cammino insieme che regala il sorriso. E la consapevolezza di aver percorso un tratto di quella strada insieme a chi, compagni di classe e professori, dimostra di saper ascoltare, entrando in punta di piedi nel complesso paesaggio interiore delle vite degli altri.

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Come nasce il progetto “La scuola della felicità”? Nell’anno scolastico 2019-2020 ho proposto questo progetto trasversale che, grazie al beneplacito della dirigente scolastica, prof.ssa Maria Michela Ciampi, è stato approvato da tutti i docenti, adottato ed è tuttora in corso. Questo tentativo nasce dal mio interesse per il “metodo danese”. Ho cercato di capire il metodo didattico di questa nazione a cui l’UNESCO ha attribuito il titolo di “Nazione più felice”. Ho, così, tentato di calare alcune componenti fondamentali di questo processo nel sistema scolastico italiano. Sono partito, inoltre, dalla riflessione circa il comandamento biblico dell’ “ama il prossimo tuo come te stesso”. Credo che tra i messaggi più rivoluzionari della storia ci sia questo comandamento. Ci siamo mai posti la domanda, forse troppo banale, “io mi amo?”. La risposta sembrerebbe così scontata, invece non lo è. Sono convinto che la chiave di tutto, dell’intera esistenza, risieda nell’attuazione di questo amore per se stessi. Noi fingiamo di stare bene. Basti pensare ai social più usati come Facebook o Instagram. Uno scorrere continuo di immagini di benessere e di felicità. Ma allora come si spiegano i dati sempre più allarmanti, specie tra gli adolescenti e tra i giovani, circa l’aumento dei disturbi legati alla psiche, all’apprendimento, alla depressione, all’uso di droghe ed alcool, alla sofferenza da bullismo, all’emarginazione?

Lei ha fortemente voluto che nell’orario scolastico ci fosse “l’ora della felicità” in cui ogni alunno potesse scoprire il suo “diritto alla felicità”. Qual è stata la reazione iniziale degli studenti? E dei Suoi Colleghi? Sì, ho ritenuto fondamentale che nell’orario scolastico fosse presente “l’ora della felicità”. Ho trovato un grande entusiasmo da parte dei miei colleghi: c’è stata una grande collaborazione ed empatia non solo tra gli insegnanti della secondaria di primo grado, ma anche tra i docenti dell’infanzia e della primaria. Con gli alunni, dal primo incontro, fino ad oggi, è stata una continua scoperta. Quando trovi la chiave per aprire il loro cuore puoi spingerti a grandi cose.

“Il primo requisito per rendere possibile l’educazione è far scoprire la vita e la sua bellezza (…) educare non significa insegnare le buone maniere, ma far riscoprire la gioia di vita”: la scuola della felicità si ispira a Vittorino Andreoli auspicando un’ora della felicità in cui potersi dedicare all’introspezione. Un tempo lento, dunque, per prendersi cura di se stessi. Cosa vi siete proposti di fare e cosa avete poi messo in pratica, fino ad ora? Molteplici sono state le attività messe in campo, specie nel periodo pre-pandemia. L’ alfabetizzazione emotiva è stata condotta con gli stessi strumenti atti al raggiungimento della abilità richieste quali scrivere, leggere, parlare, ascoltare. Importante, per monitorare l’evoluzione del lavoro e avere il polso della situazione, è stata la stesura del diario della felicità: un vero e proprio diario di bordo in cui sono confluite le nostre attività con tutto il corredo delle sensazioni provate. Grande interesse ha suscitato la scatola della felicità, in cui ogni alunno ha imbucato un bigliettino anonimo per segnalare un disagio, per apportare un suggerimento o per segnalare una situazione particolare. Grazie ai test della felicità abbiamo misurato, in termini percentuali, quali sono i disagi e le paure più comuni sulle quali lavorare. Abbiamo lavorato molto anche sulla poesia, anche spogliandola dai tecnicismi, per gustarne l’universalità del suo messaggio, su brani musicali e ci siamo serviti della proiezione di film scelti per affrontare determinate dinamiche.

Quanto è stato difficile portare avanti questo progetto in tempi di pandemia? L’anno scorso a Marzo quando, in maniera del tutto inaspettata, piombammo in lockdown, insieme al mio collega, prof. Vito Tozzi, decidemmo che la scuola della felicità non poteva risultare assente in un momento di così forte smarrimento. In pochi giorni mettemmo su un progetto dal titolo “Una rete di emozioni” visibile su YouTube. Grazie al prezioso contributo che, in modo gratuito, hanno dato padre Alessio, l’attore Gaetano Doto, la prof.ssa Roberta Sassano, la psicologa Antonella Cappiello e i colleghi della nostra scuola, abbiamo trattato, in ogni puntata, un argomento specifico sul quale i nostri alunni si sono espressi con poesie, pensieri e rappresentazioni iconiche. La ferita, il dolore, la speranza, la relazione sono state le tematiche fin qui affrontate nel corso delle nostre puntate.

Quanto sono vicini, o lontani oggi gli adolescenti italiani dagli Hikikomori giapponesi, che si isolano dal mondo trascorrendo lunghi periodi in casa? Ogni individuo ha bisogno di relazioni autentiche, di essere riconosciuto e amato dall’altro. “Abbiamo bisogno di sconnetterci per sentirci realmente connessi”: è il grido d’allarme che arriva dai lavori dei nostri alunni nell’ultima puntata del progetto “Una rete di emozioni”. Dunque, per evitare l’emulazione del noto fenomeno degli hikikomori giapponesi, noi insegnanti, congiuntamente alle istituzioni preposte e alle famiglie, abbiamo una grande responsabilità.

Lei sostiene che viviamo in una cultura estremamente selettiva dove chi “non vale” viene scartato. Ha ascoltato storie di studenti che l’hanno particolarmente toccata? Ne avete mai parlato durante le ore della felicità?
Si, è vero. Purtroppo viviamo in una società in cui vige la logica dei talent show. Chi “vale” va avanti, chi no, eliminato. Dalle attività messe in atto emerge una paura smisurata di non essere all’altezza. Per far fronte a questo disagio si assiste, purtroppo, a un continuo sforzo di apparire per ciò che non si è. Purtroppo, a volte, questo disagio sfocia in gesti di autolesionismo, disturbi alimentari, uso di droghe e, in casi più estremi, nella voglia di farla finita con la vita. Queste sono alcune delle situazioni emerse dagli incontri dedicati all’ora della felicità. Però, fortunatamente, ci sono anche dati in controtendenza: alcuni alunni hanno testimoniato la loro presa di coscienza dello stato in cui versavano e, accompagnati e supportati dai genitori, hanno iniziato un percorso finalizzato a una migliore, e più approfondita, conoscenza di se stessi.

La vita dell’alunno e non il voto, al centro del processo formativo. Questo ci si prefigge, ma poi si finisce sempre per giudicare con i voti. Come immagina la scuola della felicità in un prossimo futuro, quando ci saremo lasciati alle spalle la pandemia?
Spesso, noi docenti, ci sentiamo imbrigliati in alcuni concetti o direttive che, poi, difficilmente riusciamo a calare nella realtà o che forse restano solo su carta. Allora da dove partire? A mio avviso dalla valorizzazione totale dell’individuo: non identificare l’alunno con il voto, spronarlo e onorarlo per il sol fatto che esiste, analizzare in modo accogliente i suoi errori senza stigmatizzarli, dare massimo spazio alle sue emozioni e al suo inconscio. Anche l’approccio con il linguaggio dovrebbe essere corretto. Non ce ne rendiamo conto, ma la parola ha un potere altissimo nel condizionare la nostra personalità. Credo che, dando priorità a questi fattori, si possa ottenere un maggior interesse per la scuola e un approccio ai suoi contenuti più sereno. Ancora, come dimostrato dal metodo danese, con una serie di attività mirate, si otterrebbero ottimi risultati in termini di gestione della classe e di abbattimento della percentuale del fenomeno del bullismo.

Ascoltandola parlare, si percepisce una passione autentica ed un entusiasmo fervente, che infonde speranza in chi le è vicino. Non ha paura che la scuola della felicità possa essere fagocitata dalla routine e i suoi colori così vividi sbiadiscano?
Sì, come in ogni lavoro, c’è il rischio di accomodarsi su quanto prodotto o di farsi sopraffare da quella voce interiore che ti spinge a mollare tutto. È questo, purtroppo, un meccanismo di autodifesa della nostra mente che si rifugia in quella comfort zone nel momento in cui si cerca di fare qualcosa di importante per sé e per gli altri. Per questo, la scuola della felicità non è solo per gli alunni, ma anche per i docenti. Per le nostre mani passa l’avvenire: l’uomo del domani, le nuove generazioni, le future classi dirigenti. Ragion per cui, bisogna ri-innamorarsi continuamente del proprio lavoro, per non rischiare di trasformare questa mission in un procedimento di mera riproduzione e divulgazione di nozioni.

Lei insegna a Troia, un paese in provincia di Foggia. Siamo al Sud, terra di Puglia, di legami e sapori. Di tradizioni che vibrano sottopelle e di luce intensa. Qui, ci si apre alla scuola della felicità, per la prima volta. Pensare di portare la scuola della felicità in una metropoli come Roma o Milano, sarebbe stimolante?
Beh, sarebbe bellissimo, non lo nascondo. Quando ci si impegna con tutte le forze in un progetto, vedere i suoi frutti in realtà più grandi della nostra, darebbe grande gratificazione. Per il momento, però, è giusto continuare con la linea dei piccoli passi. Il mio desiderio, anche in accordo con la dirigente scolastica, sarebbe quello, per il momento, di creare una rete di scuole della felicità. Anzi, ne approfitto per questo spazio, per lanciare il nostro invito a quanti ne fossero interessati.

In lei si legge una sincera fascinazione verso l’esperienza Danese e verso i libri di Alessandro D’Avenia. Ha mai pensato di andare a vivere in Danimarca? E di scrivere un libro?
Mi piacerebbe visitare i Paesi della regione scandinava sia perché mi affascinano i suoi paesaggi, sia per avere esperienza diretta del loro processo formativo ed educativo. Credo, però, che sia giusto formarsi e confrontarsi il più possibile, con l’obiettivo di restare nel territorio d’origine, nel mio caso il Sud. Se ho in mente di scrivere un libro? Al momento non saprei. Non so se io ne sia all’altezza. Per il momento ho fatto un tentativo: ho scritto due fiabe un po’ particolari. Le ho lette, senza svelarne inizialmente la paternità, ai miei alunni. Sembra siano piaciute davvero. Chissà…

A cura di Maria Pia Romano

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