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L’impatto dell’emergenza Covid sulla psiche degli italiani è testimoniato visibilmente da un non trascurabile dettaglio riscontrabile proprio in questi giorni. Nel giorno in cui cadeva l’obbligo d’indossare le mascherine all’aperto, momento che sulla carta avrebbe dovuto rappresentare una sorta di liberazione da una lunga schiavitù, ecco che per le strade delle nostre città le mascherine sui volti dei passanti erano ancora tantissime, con molti cittadini fermamente determinati a mantenerle anche nei prossimi mesi, a prescindere dall’andamento della pandemia.



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Certo, le contrastanti notizie sugli incombenti pericoli delle varianti, quella Delta in primis che secondo alcuni vanificherebbe anche il margine di protezione del vaccino, non aiutano a distendere il clima già inquieto e a sedare le paure dei cittadini. Paure aumentate, secondo uno studio degli istituti di ricerca MUp Research e Norstat, per almeno 30.7 milioni di italiani. Paura degli assembramenti, paura d’incontrare le persone (anche familiari) ed esserne contagiate o contagiarle, paura di entrare nei ristoranti e in generale nei locali, paura dei mezzi pubblici come veicolo privilegiato di contagio, e così via. Se tutti da sempre si era più o meno consapevoli di essere “appesi a un filo”, il mutamento radicale delle abitudini dovuto all’emergenza sanitaria e le restrizioni della libertà imposte dall’alto per ragioni di sicurezza nazionale con scenari fino ad allora visti solo nei film catastrofici o horror, ha radicalmente mutato per molti l’approccio nei confronti del futuro, anche da parte di chi non è stato toccato dal Covid direttamente, o indirettamente attraverso amici e familiari.



L’insicurezza nei confronti del futuro, anche prossimo, e la messa in discussione delle certezze fondamentali che avevamo sempre dato per scontate ha quindi finito, nel caso di non poche persone, per esercitare un’influenza radicale sul comportamento e sulla visione della vita. I reportage insistenti sui contagiati dal Covid che, da un giorno all’altro, finivano in terapia intensiva con la possibilità concreta di non uscirne più né di rivedere più i propri cari hanno quindi innescato in molti casi una sorta di corsa alla tutela integrativa, testimoniata dall’aumento esponenziale delle polizze assicurative. Il tutto alimentato anche da una più diffusa sfiducia nel sistema sanitario nazionale, che ha mostrato tragicamente i propri limiti proprio durante l’emergenza Covid-19, sia nella prima sia nella seconda ondata dei contagi. Tanto che, secondo il “Rapporto sulla sanità pubblica, privata e intermediata – oltre il Covid-19, un secondo pilastro per la protezione della salute”, pubblicato nel febbraio 2021 da Intesa Sanpaolo Rbm Salute e dalla Fondazione Censis su un campione di 10mila italiani “due su tre mostrano una forte preoccupazione per la protezione della propria salute a causa della pandemia”.

E ancora: “Il 90,8% degli italiani richiede maggiore protezione in caso di nuova emergenza sanitaria” e “oltre 1 su tre dei cittadini è interessato a rispondere a questa esigenza attraverso una polizza sanitaria (+50% rispetto alla rilevazione 2019)”. Dati confortati anche da un’altra rilevazione, quella dell’Osservatorio Nomisma e Crif “The World after lockdown” (Il mondo dopo il lockdown) risalente allo scorso gennaio, secondo la quale, nel 2021, il 17% degli italiani sarebbe intenzionato ad aumentare la spesa per le polizze sanitarie integrative. Un fenomeno che si accompagna da un lato al progressivo invecchiamento della popolazione e dall’altro all’aumento delle famiglie in difficoltà, intenzionate a difendersi da spese impreviste, come per l’appunto quelle mediche.

La pandemia, calata improvvisamente come una spietata scure sulla vita dei cittadini, ha ovviamente esacerbato quanto sopra. A proposito di assicurazioni integrative, secondo i dati del succitato studio degli istituti di ricerca MUp Research e Norstat, più di quattro milioni di individui hanno dichiarato di aver sottoscritto o rinnovato una polizza vita, e per 750mila era la prima volta in assoluto. In Italia, questo fenomeno è tanto più interessante, specie per quanto riguarda le polizze vita, che da noi sono sempre state assai meno popolari che in altri Paesi ben più aggiornati di noi in materia assicurativa, come gli Stati Uniti. Fra gli intervistati, più di mezzo milione (546.038 pari al 3,1%), hanno dichiarato di non aver fino ad allora mai sottoscritto una polizza infortuni/sanitaria/malattia e di averlo fatto per la prima volta dopo lo scoppio della pandemia. Numeri che raddoppiano nel caso di persone fra i 70 e i 74 anni di età, considerati la fascia più a rischio.

Oltre 520mila persone, poi, hanno stipulato coperture assicurative sanitarie specifiche. Interessante sarà capire se l’aumento della sottoscrizione delle polizze conoscerà un arresto nel momento in cui dovessimo – e ce lo auguriamo di cuore – lasciarci definitivamente alle spalle la pandemia, o se il fenomeno si sarà ormai così radicato da divenire fisiologico. Per ora le società assicurative hanno senz’altro fiutato la tendenza lanciando sul mercato diversi pacchetti e offerte di polizze sanitarie mirate a soddisfare le richieste dei tanti italiani che hanno sviluppato un nuovo approccio all’assistenza privata.

A cura di Marco Zonetti



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