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Una delle vittime più vessate dalla pandemia e dalle misure restrittive dovute al Covid-19 è senz’altro il settore dello spettacolo, che per giunta – quando molti altri ripartivano – è stato costretto a restare al palo proprio perché è, per sua stessa natura, emblema di aggregazione e di “assembramento”. Al riguardo abbiamo intervistato Gianna Fratta, pianista di fama internazionale reduce da una celebratissima Carmen a Hong Kong e nominata nel maggio scorso nuova direttrice artistica dell’Orchestra sinfonica siciliana; unica donna alla quale è stato affidato un tale incarico fra le quattordici istituzioni concertistico orchestrali italiane.



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Dopo un anno e mezzo di pandemia, oggi abbiamo in qualche modo ripreso – adesso anche con il green pass e prima con altre soluzioni – a tornare nei teatri e ai concerti. Quanto ha pesato, sul mondo dello spettacolo, questo lungo periodo d’interruzione forzata?
Tantissimo, è uno dei settori che ha sicuramente pagato il prezzo più caro, insieme senza dubbio al turismo e alla ristorazione. Con i teatri completamente chiusi, per noi non c’è stata la possibilità di esibirci se non in streaming, e in condizioni molto complesse senza il contatto con il pubblico. Ora c’è una grande voglia di ripresa e anche un po’ di recuperare tutti gli spettacoli cancellati. Però non è semplice, poiché i numeri dei contagi stanno ancora crescendo e c’è grande paura che quella di quest’estate sia solo una finestra per poi tornare in autunno a un lockdown, seppure diverso dai precedenti ma sempre in grado di colpire il mondo dello spettacolo. Che, ricordiamo, è per sua stessa natura aggregazione e assembramento, con i teatri pieni di persone sia sul palco sia dalla parte del pubblico. Il caro prezzo che abbiamo pagato, tuttavia, ha insegnato forse qualcosa a tutti noi artisti: il valore dell’arte vissuta dal vivo. Non ne avevamo mai avuta la percezione finché non siamo stati chiusi, e in tal modo abbiamo potuto sperimentare che lo spettacolo in streaming non ha niente a che vedere con lo spettacolo vissuto in presenza. E che, veramente, la musica fatta dal vivo ha tutt’altro sapore e che per noi è l’unico modo di vivere e di fare arte.



Dal punto di vista economico, quale potrebbe essere una soluzione per risollevare il settore, visto che – per esempio – molti artisti minori sono stati costretti a inventarsi altri lavori per poter andare avanti?
Economicamente i danni sono stati tanti. Molti giovani hanno lasciato, perché due anni di fermo hanno inciso non poco. Senz’altro le istituzioni devono mettere in atto delle strategie per far ripartire tutto l’indotto che ruota attorno al mondo dello spettacolo, puntando sui giovani. Io per esempio, in questo anno e mezzo, mi sono battuta strenuamente perché non ci fosse la “gara” allo streaming del personaggio famoso coinvolgendo invece i giovani, soprattutto italiani. Non perché la musica e l’arte non siano universali, ma perché in un momento del genere, nel quale oltretutto viaggiare è complicato, è un bene che le istituzioni si impegnino per far riavvicinare i giovani al mondo dello spettacolo offrendo loro delle opportunità concrete. Questa pandemia ci ha spiazzati, non eravamo sicuramente pronti ad affrontarla, ma adesso possiamo e dobbiamo – parlo sempre a nome delle istituzioni – ripartire necessariamente – lo ripeto ancora una volta – dai giovani.

Pensando agli alunni delle scuole, con la DAD, senza un laboratorio, è difficilissimo studiare musica da casa, dietro un iPad, un computer, un tablet. Avremo una generazione con delle lacune in questo senso, secondo lei?
Sì, assolutamente, soprattutto in alcune discipline. Io insegno in Conservatorio e ho scelto personalmente di fare pochissima didattica a distanza. Ho interrotto quasi del tutto le lezioni durante i periodi di chiusura, e al tempo stesso ho fatto lezione anche d’estate quando invece era possibile vedersi in presenza. Perché non si può insegnare la musica a distanza. C’è bisogno di un pianoforte, di sentire fisicamente i ragazzi, di farli lavorare insieme, di stare davanti a un pianoforte con uno spartito. Abbiamo avuto delle difficoltà inenarrabili, e le lacune ci saranno, ma d’altro canto sono convinta che saranno colmate perché, tutto sommato, è stato un periodo piuttosto limitato nel tempo. I professori che hanno voluto organizzarsi per alternare la didattica a distanza con quella in presenza, secondo le possibilità concesse, lo hanno fatto. E chi ha voluto studiare la musica ha trovato il modo di farlo. Quanto alla DAD, la reputo non applicabile a qualsiasi disciplina a prescindere. Certo è stata una bella scoperta, una cosa grandiosa sotto molti profili. Ma per alcune materie, per le materie cosiddette artigianali come la musica, nella quale si deve vedere come la mano del ragazzo si posa sul pianoforte, quanto peso applica, se sta usando il gomito, se il muscolo è contratto, se il bicipite è rilassato e così via, tutto questo non si può fare a prescindere. Come per fare l’orafo, lo scultore, il pittore, per la musica la DAD non è una strada percorribile.

A cura di Marco Zonetti



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