Advertisement

Il Governo Draghi vuole sfruttare il momento e il largo consenso parlamentare per portare a termine una riforma che si discute da più di 25 anni, ma che nessuno è riuscito mai a tradurre in pratica. Stiamo parlando della riforma del catasto che in sé porta anche una revisione dei parametri fiscali che riguardano le proprietà immobiliare. La discussione sul punto è iniziata già dallo scorso agosto, cioè da quando il MEF ha inserito tale oggetto all’interno dell’atto di indirizzo sulle amministrazioni fiscali per il triennio 2021-2023. La discussione è andata avanti nelle ultime settimane e ora si fa sempre più insistente la voce che un testo possa giungere in Consiglio dei Ministri.



Advertisement

Sulla base delle prime indiscrezioni la riforma non piace al centro-destra e anche ad alcune associazioni di categoria che hanno criticato il mancato coinvolgimento sulla discussione e la paventata possibilità che una nuova legge possa aumentare indiscriminatamente il calcolo dell’Imu e dell’Irpef. Ma in cosa consiste questa riforma e perché si è resa necessaria? Il sistema attuale è basato su parametri che risalgono a canoni di affitto di circa 40 anni fa. Stante così le cose, infatti, alcune abitazioni d’epoca ma di pregio e in posizione centrale hanno un valore fiscale minore di quelli di case della stessa superficie in periferia ma nuove. Questo è il paradosso che spinge verso un cambiamento dei parametri. Con la riforma si adopererebbero valori a metro quadrato basati su prezzi e canoni di mercato. In sostanza la riforma prevede il passaggio del calcolo delle rendite catastali in base ai metri quadrati e non più secondo i vani dell’immobile. Ma questa regola sembrerebbe diversificarsi a seconda della collocazione e della tipologia dell’immobile, con l’aggiunta di ulteriori parametri di valutazione. Uno di questi sarebbe una sorta di valore medio di mercato degli ultimi anni. Già da molto tempo, infatti, negli atti di compravendita oltre al valore catastale viene indicato anche il prezzo reale d’acquisto, senza che quest’ultimo abbia impatto sulle imposte da pagare. lnsomma, la riforma dovrebbe fare in modo che per gli immobili di pregio in centro città si paghi di più, a prescindere da quando sia avvenuta la costruzione, rispetto a un edificio nuovo in periferia.



Com’è facilmente comprensibile una riforma in questi termini dovrebbe necessariamente contare sull’apporto tecnico di Agenzia delle Entrate e Comuni nella determinazione dei nuovi valori e nel loro aggiornamento periodico. Nella discussione rientrano anche i cosiddetti ‘edifici fantasma’ che si stimano essere circa 1,2 milioni di unità immobiliari in tutta la penisola. Dopo numerosi condoni e sanatorie alcuni di questi sono proprio scomparsi dai registri e quindi la nuova riforma interverrebbe per creare un nuovo sistema di mappatura che possa riconnettere all’imposizione fiscale tali proprietà. Tra le ipotesi sul tappeto – così come riporta Open – potrebbe arrivare anche l’indicazione di suddividere tutti gli immobili in due grandi gruppi, in base alla destinazione d’uso. Da una parte le unità cosiddette ‘ordinarie’, dall’altra quelle ‘speciali’. Chiaramente ci sarebbero le sottocategorie che caratterizzeranno le abitazioni a seconda della tipologia.

Per il momento, anche a causa della contrarietà tout court di una parte della maggioranza (la Lega, nello specifico), il Governo ha affermato la volontà di limitarsi ad individuare delle linee guida di carattere generale. La materia di fatto è parecchio complessa e rischia di diventare anche piuttosto impopolare. Infatti, il motivo principale per il quale da decenni si discute di questa materia, senza giungere ad una vera e propria riforma, risiede nel fatto che una nuova legislazione a conti fatti si andrebbe a tradurre in un inevitabile aumento delle tasse. In un momento in cui l’imposizione fiscale è giunta a livelli altissimi, in corrispondenza ad un periodo già difficile per i postumi della pandemia, il Governo è davvero intenzionato ad aumentare le imposte sulla casa, perseguendo il fine di rendere più omogenea la tassazione?

A cura di Francesco Gasbarro



Advertisement