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L’intervista a Marcello Minenna di Agenzia Dogane e Monopoli. Dopo due anni di pandemia, il conflitto tra Russa e Ucraina. Una situazione complicata per un paese in ripresa che adesso è costretto a fare i conti con il caro carburante e l’aumento del costo dell’energia. Tante altre le conseguenze della guerra sull’economia dell’Italia che abbiamo affrontato con Marcello Minenna, economista e direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Partiamo dall’attualità. Pandemia e guerra come nelle peggiori pagine di storia stanno minando durante la nostra stabilità economica.

Indubbiamente il contesto macro-economico degli ultimi anni è stato molto instabile: due shock esogeni avversi di grande entità hanno colpito l’economia europea, un po’ come accadde negli anni ’70 con le crisi petrolifere o più di recente con la crisi del debito europea. È seguita immancabilmente una recessione c.d. double dip, cioè con 2 periodi ravvicinati di dura contrazione di produzione ed occupazione. Temo che il risultato dell’attuale scenario punti in quella direzione.

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Qual è al momento la situazione per il nostro paese?

L’economia nazionale ha risposto con grande vitalità agli stimoli monetari e fiscali erogati a seguito della crisi pandemica; i risultati conseguiti nel 2021 sono stati oltre le attese e sopra la media europea, nonostante le prolungate restrizioni all’attività economica. La manifattura italiana ha cavalcato il boom della domanda internazionale di beni del 2021, compensando la debolezza dei servizi. Purtroppo nel 2022 il contesto avverso alla crescita del commercio internazionale creato dalla sanzioni alla Russia e gli alti prezzi dell’energia colpiranno il nostro settore produttivo più dinamico ed assisteremo ad un rallentamento di produzione industriale ed occupazione.

La durata della guerra è difficile da prevedere, ma l’aumento dei costi energetici nell’area euro ha già rappresentato più di metà dell’inflazione. È un rischio concreto? Quali i possibili scenari.

Indubbiamente l’Europa è male attrezzata per gestire aumenti del prezzo dell’energia violenti ed imprevedibili. Tutta l’UE è sostanzialmente un grande importatore di commodities ed esportatore di prodotti industriali e servizi avanzati, attività che risentono dell’aumento dei costi energetici. L’inflazione era bassa e non sarebbe stata un problema se i prezzi di petrolio e gas non avessero impattato pesantemente lungo la filiera produttiva di elettricità e beni industriali.

Ora siamo in un contesto di alta inflazione e tassi di interesse a zero, il che rende i tassi reali profondamente negativi, a livelli sperimentati negli anni ‘70. In altri termini, è difficile proteggersi dall’erosione del potere di acquisto provocata dall’inflazione, senza investimenti finanziari a basso rischio capaci di offrire rendimenti positivi e senza meccanismi di indicizzazione di stipendi/ salari. I tassi d’interesse reali negativi avvantaggiano chi detiene beni reali e debiti a tasso fisso: il governo in primis che vede il debito pubblico “sgonfiarsi” e ad esempio i detentori di mutui […].


Continua a leggere a pag. 29 del magazine

A cura di Dalila Campanile

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