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Si torna a parlare di trivelle nell’Adriatico. Si stima che nel sottosuolo italiano siano presenti circa 1,5-1,8 miliardi di barili di petrolio e 350 miliardi di metri cubi di gas naturale (valori che includono sia riserve già confermate che possibili). Per quanto riguarda il gas, se teniamo in considerazione solo le riserve certe possiamo dire che l’Italia è seduta su un patrimonio tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, conteso con la Croazia che invece estrae metano ed esporta a prezzi da capogiro in Europa. Più della quota di importazioni che l’anno scorso è arrivata da Mosca e che ora si è costretti a ridurre e ad azzerare in un paio di anni.

Il Governo corre ai ripari sulle forniture

Il Governo corre ai ripari tentando di spingere la produzione nazionale di gas crollata nel 2021 ai livelli del 1954. Nell’emendamento al decreto Aiuti-ter l’esecutivo prevede due miliardi di metri cubi di gas destinati alle aziende ad alto consumo di metano. Se ne contano circa 150 in una lista già compilata da Confindustria recepita dal ministero per la Transizione ecologica. Gas distribuito, secondo un meccanismo di aste coordinato dal Gse, il gestore per i servizi energetici, a prezzi calmierati. In una forchetta tra i 50 e i 100 euro a megawattora, un valore più basso di quello attuale del Psv, circa 153 euro, parametro di riferimento per il mercato italiano.

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Serve una programmazione a lungo termine

L’estrazione di gas, a differenza di quanto dice la premier Giorgia Meloni che ha assicurato: «mettiamo così in sicurezza il tessuto produttivo e ci rendiamo più indipendenti dalle importazioni di gas», non è una pratica che si può avviare da un giorno con l’altro, come se ci fosse un interruttore e ci vorranno probabilmente diversi anni per aumentare in modo sensibile la produzione nazionale di metano. Ma siamo sicuri che sia una soluzione sensata? Le stime del MISE riferite al 2021 parlano di 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale estratto, a fronte di un consumo complessivo di 76,1 miliardi di metri cubi (2021). Per questo motivo la risorsa gas viene largamente importata dall’estero.

Ecco perché si parla di trivelle nell’Adriatico

Questi 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale sono estratti da 1298 pozzi estrattivi: di questi, 514 sono abitualmente utilizzati per l’estrazione mentre 752 sono attivi solo formalmente ma al momento non impiegati; la restante parte è composta da pozzi di controllo e manutenzione. E quindi quanto andranno ad influenzare la produzione di gas? Nelle migliori delle ipotesi potremmo raggiungere entro qualche anno una produzione annua attorno ai 10 miliardi di metri cubi. È tanto? È poco? Come abbiamo anticipato, il consumo annuale di metano nel nostro Paese è di circa 70 miliardi di metri cubi, quindi si passerebbe dall’attuale 5-6% di produzione interna al 14-15% circa.

Ecco dove nascerebbero le nuove trivelle dell’Adriatico

L’incremento non è trascurabile, certo, ma probabilmente non andrà a diminuire in maniera sostanziale il costo del metano al distributore. Anche la scelta del luogo non sembra essere delle migliori. Stiamo parlando di una porzione interdetta da 30 anni che corrisponde all’estremità più a sud, tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po. Dunque al largo di Rovigo dove già insiste il rigassificatore Adriatic Lng. A poca distanza dalla laguna di Venezia, area che però è stata esclusa per il rischio di abbassamento dei fondali, su cui pendono i maggiori interrogativi di impatto ambientale. Una scelta che modifica il piano regolatore che disciplina le estrazioni di idrocarburi in Italia riducendo la distanza dalla costa a 9 miglia dalle attuali 12.

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