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Alla fine Sergio Mattarella con il suo “bis” ha tolto le castagne dal fuoco ai partiti. All’ottava votazione in assemblea plenaria, tenutasi lo scorso 29 gennaio, l’inquilino uscente del Quirinale è stato rieletto alla Presidenza della Repubblica con 759 voti. Mattarella, che in lungo e in largo aveva escluso la possibilità del secondo mandato, ha dovuto accettare la volontà del Parlamento “per senso di responsabilità in un momento così delicato” – ha affermato nelle prime parole dopo la votazione decisiva, risultando il secondo Presidente più suffragato dopo Pertini che ottenne 832 voti.

Mattarella bis sulle macerie dei partiti

La rielezione di Mattarella non è il primo bis per un Presidente della Repubblica. Già Giorgio Napolitano era risalito al Colle alla scadenza del primo settennato. Questo va a consolidare una prassi che va oltre quanto stabilito dalla Costituzione. Ma il mantenimento dello status quo, questa volta, non ha fatto altro che evidenziare l’inconcludenza dei partiti. I leader sono rimasti ancorati al gioco degli incastri che ha permesso al Governo Draghi di rimanere in vita. Infatti i veti incrociati, le lotte intestine, i tanti nomi bruciati e la mancanza di una vera candidatura hanno evidenziato quanto la classe politica sia poco pronta al cambiamento di cui necessita il paese.

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Coltelli affilati dopo il voto

Le prime fibrillazioni, ancora durante le chiame della plenaria, sono emerse in seno al centrodestra. Archiviata la suggestiva fuga in avanti sul nome di Berlusconi, l’asse conservatore si è letteralmente frantumato sul nome della presidentessa del Senato, Casellati. Quest’ultima non ha ottenuto neanche i voti della sua parte politica di riferimento, mostrando quanto sia poco consistente il progetto di un percorso comune. Alla rielezione di Mattarella è finito sul banco degli imputati il Ministro della Lega Giorgetti ai minimi storici nei rapporti con il suo leader di partito Matteo Salvini. Anche i 5 Stelle non se la passano bene. La rielezione di Mattarella ha aperto un fronte nuovo di confronto tra il ministro degli esteri Luigi Di Maio e il leader pentastellato, l’ex premier Giuseppe Conte. Tra loro è partito un vero e proprio confronto dai toni verbali molto accesi che sancisce l’involuzione del Movimento.

La sinistra evanescente

Anche a sinistra non se la passano meglio. Durante la settimana del voto non una proposta è stata spesa dalla segreteria dem, rimasta ferma ai rifiuti contro le compagini avverse. Enrico Letta ha sottolineato che il PD avesse dei nomi che non avrebbe speso per non “bruciarli” davanti all’opinione pubblica. Ma gli applausi fragorosi emersi dopo la rielezione di Mattarella – tenuto conto delle intenzioni iniziali di quest’ultimo – regalano alla sinistra il ruolo di miglior attore non protagonista. Alla stregua degli altri però partecipa all’attribuzione e alla ripartizione dei meriti per il risultato ottenuto. Mentre il tanto atteso “king maker”, quel Matteo Renzi che dai quei pochi seggi di Italia Viva ha sempre contato nelle scelte, questa volta è rimasto marginale.


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