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AUMENTO TASSI D’ INTERESSE – Tutto secondo previsioni. Dopo la Federal Reserve, anche la Banca Centrale Europea ha alzato il tasso ufficiale, anche se con un’intensità maggiore (0,50% contro 0,25% deciso Oltreoceano). Mosse che impatteranno sulla vita dei cittadini, dai prestiti ai mutui e non solo. Proviamo a capire in che modo.

Costo del denaro più elevato

Il rialzo dei tassi sta a significare che, a fronte del denaro ricevuto in prestito, occorre pagare interessi più elevati. La conseguenza diretta è che, quando cresce il costo del denaro, famiglie e imprese chiedono meno prestiti. Un aumento dei tassi di interesse tende dunque a frenare gli investimenti e i consumi e questo si riflette, a distanza di qualche mese, in una riduzione della domanda, e quindi dei prezzi. In questo modo la Banca Centrale punta a riportare gradualmente l’inflazione sui livelli desiderati. Tutto questo in teoria, dato che in economia non esistono gli automatismi.

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Aumento dei tassi d’interesse, la mossa anti inflazione

A gennaio l’inflazione nell’Eurozona si è attestata all’8,5% rispetto a dodici mesi prima. Il dato è in calo rispetto al 9,2% di dicembre, ma comunque molto elevato rispetto al 2% che è l’obiettivo della Bce. Questo risultato è conseguenza soprattutto del caro-energia, esploso con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma non solo. Tant’è che l’inflazione core, cioè al netto di cibo, energia, alcol e tabacchi è risultata al 5,2%, invariata rispetto a dicembre.

Incide anche la transizione ecologica

Pesa il ripensamento delle catene globali di fornitura, che vengono ripensate alla luce delle strozzature emerse all’inizio della pandemia avvicinando luoghi di produzione e di consumo. Ma produrre in Albania o in Romania costa più che in Cina e il Vietnam e questi aumenti si trasferiscono a catena fino al prezzo finale dei beni che acquistiamo. Un altro motore di inflazione è la transizione ecologica, con la domanda di prodotti green che è molto superiore all’offerta e quindi fa impennare i prezzi.

Le ricadute sui mutui

I mutui a tasso variabile tendono a risentire, anche se non immediatamente, delle decisioni di politica monetaria prese dalle Banche Centrali. Questo vale sia per i nuovi contratti, sia per quelli in corso. Nel secondo caso l’impatto sulla rata è più marcato se il piano è stato avviato da poco, dato che gli interessi si pagano soprattutto nei primi anni, mentre poi prevale la quota capitale. Quanto ai mutui a tasso fisso, la rata tende a crescere per i nuovi contratti, mentre resta ferma per quelli in corso.

Mutui per importi superiori a € 200.000

A questo proposito va ricordato che quanti hanno un mutuo in corso per un importo non superiore a 200mila euro possono ottenere il passaggio al fisso. Un’opportunità introdotta dal Governo solo per l’anno in corso, in merito alla quale la banca contraente non ha discrezionalità: se sussitono i requisiti, è tenuta ad assecondare la richiesta. Ci sono due condizioni da rispettare per poter usufruire di questa opzione: che il mutuatario abbia un ISEE non superiore ai 35mila euro; che lo stesso non abbia fin qui registrato ritardi nel pagamento delle rate del mutuo.

Aumento dei tassi d’interesse e tasso fisso

Come riferimento per il tasso fisso si considera come benchmark l’IRS pari alla durata residua del mutuo: così se ho pagato dieci anni dei trenta da contratto, va considerato l’IRS a 20 anni. Questo dato si mette a paragone con il tasso a dieci anni e prevale quello più basso. Questo benchmark va poi sommato allo spread che era previsto dal contratto di mutuo variabile e si determina il nuovo tasso fisso. La norma prevede anche che banca e mutuatario possano allungare il piano di rimborso del mutuo – ad esempio per fronteggiare eventuali difficoltà per il mutuatario, come quelle dovute al picco dell’inflazione – per un periodo massimo di cinque anni, purché non si superino complessivamente i 25 anni di durata residua del mutuo.

L’impatto sui risparmi e gli investimenti

L’inflazione opera come una vera e propria tassa sui risparmi detenuti in deposito. Con l’inflazione al 10%, mille euro di oggi tra un anno varranno 900 euro. Stesso discorso per gli stipendi. All’opposto, il carovita premia i debitori. Il famoso rapporto debito/PIL che vede l’Italia tra i Paesi messi peggio al mondo considera il denominatore al lordo dell’inflazione, che quindi tende a far perdere valore al debito accumulato.

Cosa attendersi in futuro sui tassi d’interesse

Dopo una sequenza ininterrotta di rialzi dall’inizio della scorsa estate, per la Banca Centrale Europea potrebbe aprirsi una fase di riflessione. Alcuni analisti dubitano che vi sarà un ulteriore rialzo nella prossima riunione dell’Eurotower, in programma il prossimo 16 marzo. Infatti, anche se è impossibile un ritorno del carovita in area 2% prima di qualche trimestre, occorrerà monitorare la velocità di rallentamento. Il rischio che, a furia di stringere, la Bce faccia precipitare l’area in una spirale di dura recessione è elevato e per questo nelle prossime settimane vi sarà un confronto tra i membri dell’organismo di Francoforte, supportato dalla lettura dei dati che via via verranno diffusi.

FONTE: MUTUI ONLINE. IT

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