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“I paesi si salvano con gli occhi./ Prima bisogna guardarli / come un uomo giovane/ guarda una donna bellissima…”, scrive Franco Arminio in “Resteranno i Canti”, Bompiani. I suoi libri di poesie sono casi editoriali, per citarne uno fra tutti “Cedi la strada agli alberi”, Chiarelettere, che ha venduto oltre 15.000 copie, in barba a chi creda che la poesia oggi sia morta.

Franco Arminio, poeta e paesologo, come lui stesso ama definirsi, nato a Bisaccia in provincia di Avellino, ha fondato la Casa della Paesologia e organizza da molti anni il Festival “La luna e i Calanchi” ad Aliano, in Basilicata. Chi lo ha sentito parlare almeno una volta, probabilmente è rimasto ammaliato dal suo incitamento travolgente ad andare a vedere i paesi, quelli piccoli, piccolissimi, più piccoli di quello dove viviamo. Franco Arminio, con la sua cadenza meridionale e il suo irresistibile carisma, è capace di far cantare la gente che va ad ascoltarlo e torna a casa con il cuore gonfio di gioia. Sa infondere la speranza, il grande Arminio, che i paesi non siano morti, ma che vivano una vita silenziosa e vera, che si trasformino, che siano gli unici luoghi possibili in cui avvicinarsi alla verità e coltivare lo stupore.

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Ha scritto dell’Italia disabitata, ha fatto parlare le pietre, con le quali sembra intessere un continuo e incessante dialogo, che arriva al cuore dei suoi lettori, tanti, tantissimi, per fortuna. Franco Arminio ha mostrato che la poesia fa bene a tutti, che si può leggere insieme e che non è destinata solo agli intellettuali. Così Arminio regala poesia a piene mani, svegliando il tempo di chi si è chiuso nel grigiore. Ci sono le grandi città e ci sono i piccoli centri, che non devono morire. Lui li ama di amore sincero. “Voglio bene ai paesi quando c’è un funerale,/voglio bene a chi si toglie il cappello,/ a chi abbassa lo sguardo./ Voglio bene ai paesi e a tutta la terra/ che hanno intorno, al grano che cresce/ sulle frane.( da “Resteranno i Canti”, 2019).

di Maria Pia Romano

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