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A tu per tu con il parlamentare del MoVimento 5 Stelle, il molisano Antonio Federico componente delle commissioni Affari sociali, Questioni regionali, Ambiente, Territorio e Lavori pubblici. Con lui abbiamo aperto un focus sui problemi che attanagliano i piccoli Comuni, Superbonus, ma anche sulla possibilità di riaprire la questione delle aree interne con la fiscalità di vantaggi, nonché una maggiore offerta di servizi in fatto di sanità pubblica.



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Federico, Progetti&Finanza annovera il Superbonus tra gli interventi statali più importanti e utili a far ripartire l’economia del Paese. Quali novità ci sono sul tema nell’interlocuzione tra Parlamento e Governo? L’importanza del Superbonus 110% non la sostengo io o soltanto il Movimento 5 Stelle, ma è certificata da Confindustria, Ance, Abi, ed è testimoniata da tecnici, amministratori locali e tantissimi cittadini. È importante che Draghi abbia annunciato la proroga del Superbonus, ma ora serve un altro passo avanti da parte del governo. Le nostre richieste sono chiare: tempi certi, quindi proroga almeno a tutto il 2023 per tutte le tipologie di edifici coinvolti; coperture adeguate, stanziando fondi aggiuntivi rispetto ai 18 miliardi già disponibili; estensione della misura al settore turistico ricettivo. A questo aggiungo che è stato approvato un mio ordine del giorno collegato al dl Sostegni appena approvato, che chiede al Governo di concedere ai Comuni la possibilità di assumere tecnici per espletare tutte le pratiche legate al Superbonus, allo stesso tempo implementando il Fondo già esistente allo scopo.



Il Giro d’Italia esalta le bellezze naturalistiche e architettoniche dei piccoli borghi che tuttavia rischiano di scomparire. Il Governo cosa prevede per evitare quella che sarebbe una vera tragedia?
Bisogna sostenerli ascoltandone le esigenze e sfruttandone i punti di forza. Bisogna essere in grado di rendere la pandemia un’opportunità di rilancio per i piccoli borghi. Intanto proprio in questi giorni saranno finalmente distribuiti ai Comuni delle aree interne e a quelle più svantaggiate del Paese 30 milioni di euro, relativi al 2020, per incentivare nuove attività nei centri fino a 5 mila abitanti. Sono risorse già previste anche per il 2021 e 2022, ed essendo l’iter ormai definito, la loro assegnazione sarà sicuramente più veloce. Servono poi interventi strutturali e di prospettiva. Nell’ambito del Pnrr è previsto un Piano Nazionale Borghi con cui valorizzare il patrimonio di storia, arte, cultura e tradizioni dei piccoli centri e il loro potenziale naturalistico, paesaggistico e culturale. La strategia mira ad attivare iniziative imprenditoriali e commerciali con nuove modalità di ricettività quali ospitalità diffusa e albergo diffuso, per rivitalizzare il tessuto socio-economico dei luoghi, contrastando lo spopolamento.

Nell’agenda politica nazionale non ci sembra che la questione delle aree interne sia un tema considerato. Eppure la stragrande maggioranza degli italiani vive nei piccoli comuni sulla dorsale appenninica. Quali in futuro le strategie da mettere in campo per valorizzarne le potenzialità e di conseguenza arrestare lo spopolamento?
Il Pnrr prevede il rafforzamento della Strategia nazionale aree interne, per contrastare la marginalizzazione e il declino demografico di queste zone, attraverso la promozione e la tutela della ricchezza del territorio e delle comunità locali, delle risorse naturali e culturali, e la creazione di nuovi circuiti occupazionali. Il Piano destina alle Aree interne circa 830 milioni di euro e implementerà la SNAI attraverso interventi aggiuntivi per migliorare i servizi scolastici, sanitari e di mobilità, sostenere l’imprenditoria giovanile e il reinserimento abitativo e produttivo, potenziare le infrastrutture sociali, ambientali e digitali. Fiscalità di vantaggio. Chi abita in montagna paga le stesse tasse di chi risiede lungo la costa. Eppure ha meno servizi e opportunità di lavoro. Quando si capirà che per incentivare le coppie a fare figli e vivere in territori periferici la prima cosa da fare è azzerare la tassazione e offrire servizi? Lo abbiamo capito da tempo tanto è vero che in quel solco ci siamo mossi nel Governo Conte quando abbiamo puntato sulla fiscalità di vantaggio per le imprese del Mezzogiorno che hanno potuto contare su un importante taglio del costo lavoro per i propri dipendenti. Bisogna accelerare su questi strumenti che facilitano l’occupazione. A tal proposito ricordo le 2800 appena sbloccate nelle PA del Sud. Se pensiamo alle giovani coppie, invece, sottolineo che ad esempio, il decreto Sostegni bis incrementa di 290 milioni il fondo di garanzia per l’acquisto della prima casa, in favore dei giovani, oltre ad introdurre una serie di esenzioni da imposte di registro, catastali e ipotecarie. E poi ricordo il già annunciato assegno unico per le famiglie: un contributo mensile fino a 250 euro per ciascun figlio fino ai 21 anni di età, maggiorato dal terzo figlio e nel caso di disabilità; un assegno che racchiude svariate micro misure che rendevano difficile e molto laborioso accedervi.

In merito ai servizi il primo pensiero corre alla sanità. Qual è la ricetta per rendere fruibili ed efficienti le piccole strutture ormai dilaniate da tagli e soppressioni. Ed ancora, perché molte Regioni eludono quanto previsto per i presidi di “area particolarmente disagiata” riconosciuti solo sulla carta ma non nei fatti?
Uno dei temi prioritari in sanità è proprio il gap che riguarda le aree interne e periferiche del nostro Paese, laddove gli aspetti demografici e l’orografia del territorio, con forte dispersione della popolazione residente, rende obbligatorio un approccio differente. La missione “salute” del PNRR dovrà spiegarsi attraverso l’integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali. Tradotto: rafforzare la medicina di prossimità incentrata sulla persona. Servono strutture intermedie per l’assistenza sanitaria territoriale domiciliare e per l’integrazione ospedale-territorio gli investimenti ammontano a 7 miliardi di euro, con servizi sanitari di prossimità, case della comunità, assistenza domiciliare, telemedicina e cure intermedie.

Dissesto idrogeologico, tema a lei molto caro. Quando in Italia si capirà che per scongiurare il fenomeno bisogna prevenire nonché creare un serio piano di sostenibilità ambientale?
Serve un cambio di modello, una nuova cultura di sostenibilità ambientale e serve anche superare ogni tipo di reticenza quando poi questa sostenibilità deve essere messa “su campo”. Intanto però bisogna agire. Faccio un esempio: a fine febbraio i Ministeri di Economia e Interno hanno dato l’ok al decreto che individua i Comuni beneficiari del contributo per investimenti relativi ad opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio. Per il 2021 questi contributi ammontano a 1 miliardo 850 milioni di euro e sono stati previsti nella Legge di Bilancio 2019. Parliamo di 8176 opere ammesse di cui 2146 già finanziate e riguardanti interventi contro il rischio idrogeologico. Inoltre è già previsto un incremento delle risorse pari ad 1 miliardo 750 milioni di euro per l’anno 2022, per far scorrere la graduatoria e dar risposta anche agli altri progetti.

Infrastrutture. Sud Italia decisamente indietro rispetto alle regioni Nord. Come si sopperisce a questo gap che poi risulta vitale per lo sviluppo dei territori?
Con la programmazione e con gli investimenti, in questo preciso ordine. In questo senso il Pnrr fornisce un determinante banco di prova e un’opportunità unica. Arriveranno tante risorse per tanti progetti, ma ad essere premiati saranno i territori che hanno saputo programmare negli anni. Il Pnrr non è una lista della spesa da compilare: coinvolge solo quei progetti che hanno un iter avanzato di approvazione. E sarà altrettanto importante saper spendere presto e bene le risorse a disposizione. È questa la sfida più grande per il Mezzogiorno.

Federico, ci dica la verità: oggi le Regioni hanno ancora motivo di esistere? Oppure si va nella direzione delle macroregioni?
Serve innanzitutto un cambio di mentalità. Penso soprattutto alle piccole regioni come il mio Molise. Bisogna smetterla di ragionare con l’autocommiserazione e sperare che un Governo, di qualsivoglia colore o natura, stabilisca che un territorio debba avere un trattamento di riguardo solo perché piccolo e marginale, magari nonostante una disastrosa gestione amministrativa e politica. Bisogna invece saper dialogare con tutte quelle energie positive che in armonia con la storia e la vocazione di un territorio, vogliano investire su di esso soldi, risorse ed intelligenze. Ma prima di tutto questo serve che la politica sappia cosa chiedere alla propria terra e dove condurla. A quel punto la macroregione può trasformarsi in opportunità di sviluppo.

Lei è un politico molisano. Perché negli ultimi tempi la “sua” regione è salita alla ribalta nazionale come quella che non esiste?
Le rispondo con una battuta: forse a noi molisani piace questo tipo di retorica e quindi ci abbiamo giocato contribuendo a diffonderla. E nel tempo abbiamo continuato a farlo anche perché questa battuta ha finito per portare alla nostra terra molta più visibilità rispetto a quanto abbiano fatto le politiche di qualsiasi governo regionale negli ultimi decenni.

Intervista a cura di Maurizio D’Ottavio



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