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Il mondo resta un posto pieno di sfide, in cui è stimolante lanciarsi. Un’iniezione di positività in tempi di pandemia che viene da Marcello Minenna, il direttore dell’ Agenzia delle Dogane e Monopoli. Civil servant, economista esperto in matematica finanziaria, Minenna è un esperto di analisi quantitativa applicata all’economia e alla finanza ed al tempo stesso un grande comunicatore, in grado di far appassionare ai temi a lui cari anche i non addetti ai lavori. Lo sa bene il folto pubblico che legge i suoi contributi su Il Sole24 ore o chi lo ha visto in video. (Segue l’intervista)



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Gli italiani e la pandemia: cosa sta accadendo al nostro Paese in questi mesi difficili? Come cambia la percezione del denaro?

La pandemia è stata uno shock tanto improvviso quanto violento per il nostro paese, primo ad essere colpito nel mondo occidentale, che ha rivoluzionato le vite e le abitudini di noi tutti in modo inimmaginabile e senza precedenti nella storia contemporanea. Da più di un anno gli italiani hanno a che fare quasi esclusivamente coi numeri su contagi, terapie intensive, decessi, mascherine e, più di recente, vaccini. Per non parlare dei dati poco confortanti sulle prospettive economiche del paese e dell’emergenza occupazionale. Tutto questo alimenta un clima forte incertezza e di preoccupazione per il futuro che a sua volta influenza il rapporto col denaro e incentiva il risparmio precauzionale, spingendo le famiglie a posticipare i consumi e le imprese gli investimenti. Basti pensare che, nell’ultimo anno, i depositi bancari sono cresciuti di oltre il 10%, e la propensione al risparmio è vicina al 20%, praticamente il doppio rispetto al 2019.

In un articolo pubblicato dal Sole24Ore lo scorso 14 marzo, Lei ha dichiarato che “La crescita dei rendimenti nominali a fronte di un tasso di inflazione inchiodato su valori troppo bassi comporta un rialzo dei tassi di inflazione reali”, definendo questa una condizione tossica per un’economia in recessione. Ce ne vorrebbe parlare?

Il tasso di inflazione “reale” misura il costo concreto di un debito contratto a tasso fisso. Ad esempio, io ho un mutuo con il 3% di interesse annuo; se l’inflazione quest’anno è al 2% il tasso di interesse “reale” sarà dell’1% e la rata che pagherò tra 1 anno sarà solo nominalmente indicizzata al 3%, ma avrà interiorizzato una svalutazione del 2%. Questo succede con un tasso di interesse reale positivo. Immaginiamo ora il caso in cui l’inflazione quest’anno è al 5%; il mutuo resta al 3%. Il tasso reale però è negativo, al -2%. La rata si sarà svalutata molto di più ed il prestito peserà meno nelle tasche del debitore. Ora questo fenomeno accade anche per il debito contratto dallo Stato. Con tassi di interesse negativi, il debito pubblico si “erode” più in fretta perché l’effetto dell’inflazione è maggiore di quello dei tassi di interesse pagati ai prestatori. In generale una condizione di tassi di interesse negativi avvantaggia i debitori, specie quelli già messi in difficoltà da una riduzione del reddito disponibile in una fase recessiva dell’economia. I tassi di interesse positivi avvantaggiano invece i creditori perché ottengono più valore dal loro denaro. Se c’è forte domanda di liquidità da imprese e consumatori per consumi ed investimenti perché l’economia va forte, si tratta di una situazione fisiologica che non deve preoccupare. Ma in una recessione profonda, come quella che stiamo vivendo ora, tassi di interesse positivi strangolano i debitori in difficoltà e dunque vanno accuratamente evitati.



A proposito del PEPP, il Pandemic Emergency Purchase Programme, il programma pandemico di acquisto titoli della Bce, ci vuole spiegare come sono andate le cose nel 2020 e cosa si pensa di fare nel prossimo futuro?

Nel corso del 2020 la BCE ha mostrato di avere uno strumento efficace nel contenere movimenti indesiderati dei tassi di interesse governativi: si tratta proprio del programma pandemico di acquisto titoli (Pandemic Emergency Purchase Programme). In poche settimane dal lancio è arrivato a rappresentare l’80% di tutti gli acquisti netti di assets settimanali effettuati dalla BCE con valori superiori ai 35 miliardi di € settimanali per un paio di mesi. Dopo il picco primaverile il ritmo si è assestato intorno ai 20 miliardi settimanali lordi. A fine febbraio 2021 gli acquisti totali del programma avevano raggiunto gli 870 miliardi e si stima che per marzo 2022 si possa arrivare intorno ai 1.700 miliardi, lievemente al di sotto del limite massimo previsto di 1.850 miliardi. Il vantaggio del PEPP è la completa flessibilità nella determinazione del livello di acquisto necessario per ogni Paese e la rapidità di modifica ed esecuzione dei piani di acquisto settimanali, su cui il board ha pieno controllo. Il PEPP è lo strumento ideale – molto più di altri schemi di acquisto più standard come il PSPP – per frenare tempestivamente le tensioni sul mercato secondario. La BCE non ha mostrato all’inizio di voler incrementare gli acquisti settimanali in risposta ai recenti e preoccupanti rialzi dei tassi di interesse. Anzi, complici alcune operazioni di rimborso consistenti a gennaio e febbraio gli acquisti netti di titoli si sono ridotti piuttosto che aumentare. Il 12 marzo la Presidente Lagarde ha annunciato ufficialmente un cambio di passo nel ritmo degli acquisti del PEPP, pur se all’interno del limite massimo di 1.850 miliardi. Non ci si attende comunque un’immediata accelerazione ma piuttosto un graduale incremento delle operazioni. Finalmente la BCE fa seguire alle dichiarazioni i fatti: uno hiatus tra dichiarazione/azione troppo lungo avrebbe potuto essere controproducente in termini di efficacia dello stimolo.

Lo scorso anno, per la prima volta dal 1979, la Bundesbank non ha distribuito dividendi per via dell’impatto dei costi dei prestiti agevolati. L’impatto sui conti pubblici qual è?

La Buba restituisce i dividendi quasi integralmente al governo tedesco. Quindi se quest’anno la “cedola” della Buba per il governo è azzerata, è come se venisse a mancare un’entrata o ci fosse un’uscita maggiore; la misura è assimilabile ad un taglio di tasse o ad un aumento di spesa, di cui però non beneficia solo il cittadino tedesco, ma in senso più ampio quello europeo.

C’è una ripresa economica in arrivo che va salvaguardata o è mera illusione?

La ripresa economica è partita presto in Cina, ma fino a qualche mese fa era rimasta confinata lì. Adesso anche gli USA si stanno rimettendo seriamente in moto e questo avrà degli effetti importanti per tutta l’economia globale. L’Europa arriverà in ritardo perché i vaccini vanno a rilento e non è possibile allentare in maniera significativa le restrizioni all’attività economica. Ma arriverà di sicuro: tutto sta a creare le condizioni per non vederla “strangolata” da un costo eccessivo del credito bancario alle imprese ed alle famiglie e sostenendo sempre fortemente con misure fiscali espansive l’economia reale.

Sempre sul Sole24Ore, Lei ha ipotizzato che il 2021 potrebbe sancire l’affermazione della criptovaluta all’interno del sistema finanziario internazionale. In pratica, si sente parlare di Bitcoin, meno del principale concorrente che si chiama Ethereum, ma in pochi sanno come funzionano questi “oggetti finanziari”. Si tratta davver di oro digitale? Cosa potrebbe accadere in un prossimo futuro?

In maniera pragmatica, Bitcoin è definito dall’uso che ne fanno gli utenti. Bitcoin non è una valuta perché non circola come una valuta. I dati mostrano chiaramente come gran parte dei Bitcoin restino inattivi nei wallets degli utenti per lunghi periodi di tempo e non vengano negoziati sul mercato. Di sicuro questo accade perché i costi di transazione della rete Bitcoin restano elevati ed hanno dimostrato di raggiungere livelli insostenibili nei periodi di maggiore domanda da parte degli utenti: durante la bolla del 2017 il costo medio passò da 0,3$ di gennaio ai 50$ di dicembre mentre da dicembre 2020 ad oggi siamo passati da 1$ a 22$. Inoltre il network decentralizzato di Bitcoin non è adattabile all’enorme dimensione del sistema finanziario globale. Si consideri infatti che il network di pagamento di VISA processa circa 1.700 transazioni al secondo, mentre quello di Bitcoin può arrivare nel migliore dei casi a 7 transazioni al secondo. Ma il punto fondamentale è che gli utenti tesaurizzano Bitcoin come se fosse una riserva di valore, un “oro digitale”. In questa visione, perde importanza l’efficienza come cash digitale nell’utilizzo nelle transazioni quotidiane, mentre acquista peso una caratteristica intrinseca del suo design: la scarsità progressiva. Tuttavia Bitcoin non si comporta come l’oro, c’è poco da fare. C’è il problema enorme della volatilità del prezzo, che è almeno 10 volte quella dell’oro e non ha paragone in nessuna asset class tradizionale. Nessuno strumento che ambisce a diventare riserva di valore può ammettere le oscillazioni che si osservano quotidianamente sui mercati delle cripto-valute. Questa enorme volatilità potrebbe ridursi con l’espansione del mercato e la crescita della liquidità, ma potrebbe an che essere una caratteristica permanente di Bitcoin. Al momento non è possibile prevederlo. Ethereum è un altro paio di maniche: più che riserva di valore è una piattaforma decentralizzata di sviluppo software. Da un lato è qualcosa meno di Bitcoin (non c’è l’effetto di scarsità digitale), da un altro qualcosa di molto più sofisticato perché permette di sviluppare applicazioni molto evolute. Al momento l’andamento del prezzo va a traino del fratello maggiore Bitcoin, ma prima o poi gli utenti ne percepiranno le differenze.

Dovendo dare un consiglio ai giovani che in tempi di pandemia possono sentirsi sfiduciati, Lei cosa direbbe? Dove trovare le motivazioni per costruire il futuro? Su che cosa investire oggi?

Senza dubbio, i giovani di oggi saranno costretti a crescere più in fretta della generazione precedente. La rarefazione delle occasioni di interazione de visu imposta dalla pandemia è un sacrificio enorme e penso anche difficile da capire per molti di loro, anche perché appartengono a una classe d’età che viene presentata come “meno a rischio” e alcuni potrebbero quindi percepirlo come un sacrificio inutile. Tuttavia, la gioventù è anche l’età dei progetti per il futuro, del rimboccarsi le maniche e (malgrado la pandemia) – il mondo è un posto pieno di sfide e di opportunità meravigliose, oggi più che in passato. Pensiamo ai progressi della scienza e della tecnica, alla possibilità di svolgere moltissime attività stando comodamente seduti a casa. Pensiamo all’ammartaggio di poche settimane fa o agli stessi vaccini anti-Covid realizzati nel record storico di 1 anno. In queste cose vedo molto per cui essere ottimisti e vedo anche indicazioni chiare su dove i giovani dovrebbero investire. Sulla loro formazione, una formazione competitiva e di alto livello sulle nuove priorità che proprio il Covid-19 ha contribuito a portare alla ribalta: sanità, assistenza alla persona, biotecnologia e telemedicina, ma anche ricerca appli cata, clima e ambiente, e una marea di nuove specializzazioni e profili professionali come l’ingegneria ambientale, lo studio sulle rinnovabili, la ricerca su nuove e avanzate soluzioni di smaltimento o riciclo dei rifiuti. Questi sono solo alcuni esempi. L’importante è avere una mente aperta e curiosa per il mondo che ci circonda e il coraggio di buttarcisi dentro.

Oggi gli italiani che hanno messo i soldi sotto al mattone e tengono ferma una somma pari all’intero PIL sono perso ne che hanno più di sessantacinque anni e poca propensione all’investimento. Come se ne esce, ammesso che sia possibile farlo?

Per uscirne sarà fondamentale ristabilire un solido clima di fiducia tra i cittadini. Lo Stato dovrà fare la sua parte per assicurarsi di spendere bene innanzitutto i soldi pubblici. A sua volta, la spesa pubblica impiegata per rilanciare il Paese sarà un volano incredibile per far ripartire la spesa privata, vale a dire i consumi e, soprattutto, gli investimenti attraverso una reinterpretazione in chiave moderna del patto sociale. Qual-che tempo fa, riflettendo proprio sull’enorme ricchezza finanziaria delle famiglie italiane (ormai oltre € 4.000 miliardi) avevo evidenziato come una parte di questa ricchezza potrebbe essere coinvolta, su base volontaria, in iniziative di supporto all’economia reale in modo finanziariamente sostenibile per il sistema-Paese. In particolare, avevo pensato a proposte d’investimento capaci di creare una connessione più immediata tra l’impegno finanziario richiesto all’investitore e iniziative mirate di sviluppo economico e di politica industriale sotto l’egida dello Stato. Ormai, l’ingegneria finanziaria consente di creare titoli ad hoc che permettono al risparmiatore di scegliere in quale progetto industriale o infrastrutturale investire, in ragione dei propri convincimenti e della sua propensione al rischio. Del resto, qualcosa del genere è previsto dalla stessa Costituzione che all’articolo 47 sancisce che la Repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese. Si tratta di calare queste parole nel concreto dell’epoca attuale.

Che libro consiglierebbe a chi, non avendo fatto studi specifici nel settore, si appassiona all’economia e vuole capirne di più?

Un evergreen molto interessante è il libro “La globalizzazione e i suoi oppositori” scritto dal premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz. È uno di quei libri che, come dico io, ti aprono la testa. E soprattutto è una lettura utile per capire come il mondo è arrivato dov’è oggi, evitando di accontentarsi delle semplicistiche rappresentazioni mainstream che dividono sistematicamente popoli e paesi a colpi di scure tra buoni e cattivi, ricchi e poveri, oriente e occidente. La globalizzazione e la sua “gestione” da parte dei governi e delle istituzioni sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale hanno disegnato l’attuale assetto degli equilibri e degli squilibri a livello planetario. La nostra vita quotidiana e il nostro imprinting culturale ci hanno spinto ad assegnare un giudizio di valore assolutamente positivo alla rimozione delle barriere al commercio globale e all’integrazione fra le economie. Stiglitz invece ci aiuta a capire anche i difetti di un’integra zione guidata da logiche politiche e ideologiche e da interessi di pochi, e a chiederci se la globalizzazione non sia che un remake in salsa buonistica del colonialismo.

A cura di Maria Pia Romano



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